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TRIA CON MUGNOLI

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 la tria con i mugnuli è una di quelle vecchie ricette salentine che col tempo, purtroppo, rischiano di non essere più presenti sulle nostre tavole. Eppure, per i nostri nonni e bisnonni rappresentava una delle principali pietanze con cui rifocillarsi. Impastare la farina di grano duro con l’acqua fino ad ottenere un panetto compatto e non appiccicoso. Consiglio sempre di aggiungere l’acqua poco alla volta in modo da lavorare la pasta e regolarsi di volta in volta se necessario aggiungere ancora acqua o della farina. Stendere una sfoglia sottile e tagliarla a listarelle, come se fossero tagliatelle di circa mezzo centimetro di larghezza.   Lasciare asciugare su una spianatoia in legno. Portare a bollore dell’ acqua, salare e cuocere la tria.  Dopo circa 4-5 minuti aggiungere  i mugnuli e lasciar cuocere per circa altri 3-4 minuti. In una padella a parte, intanto, far rosolare della cipolla con un filo di olio e, a piacere, del peperoncino. Quando la tria con i m...

SCAROLE RACANATE

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 Nel linguaggio culinario salentino “racanare” significa gratinare al forno con, solitamente, formaggio e pane grattugiato. Questo metodo di cottura, quindi, si adatta perfettamente alle verdure, in particolare quelle con un gusto delicato e quasi neutro. Pulire e mondare bene le scarole per eliminare qualsiasi residuo terroso. Sbollentarle in acqua salata fino a quando non si saranno ammorbidite ( circa 5 minuti). Una volta pronte scolarle e sistemarle in una teglia unta d’ olio.  Cospargere la superficie della scarole con un filo di olio, le uova vegane insieme al formaggio grattugiato vegano, sale e pepe. L’ultimo strato sarà di pane grattugiato. Inforniamo la teglia così preparata in forno ( circa 220°) per circa una decina di minuti per poi passare alla funzione grill per ottenere una bella crosta dorata e croccante.

RICCHIE E MINCHIAREDDHRI

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 Sono il piatto base della tradizione culinaria salentina. Essenzialmente fatti con farine povere (orzo, oppure segale), o con grano della famosa, sono costituti dalle “ricchie” – le orecchiette – ed i “minchiareddhri” – pasta dalla forma affusolata, con foro centrale – Conditi con sugo di pomodoro fresco e ricotta SALATA vegana. Sino agli anni Sessanta del Novecento, essi erano la pietanza servita essenzialmente durante i matrimoni: difatti simboleggiano, per tutti i salentini, l’unione amorosa tra i due elementi, il maschile, simboleggiato dal “minchiareddhru“, ed il femminile, rappresentato dalla “ricchia“…a guardar bene, infatti, entrambi questi due tipi di pasta, rappresentano gli organi della sessualità dell’uomo e della donna: il prepararli, il cucinarli ed il servirli durante un pranzo nuziale assumeva, quindi, significato apotropaico e di fertilità per la coppia di sposi.

FAVE E CICUREDDHE

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Questo piatto è preparato con due soli ingredienti, purè di fave e cicoria selvatica lessa. Qui, l’amarognolo della cicoria si sposa col gusto dolciastro della fava creando un’alchimia degna degli Dei.  Naturalmente il tutto condito con l’olio extra vergine e crostini di pane fritti.

SAGNE 'NCANNULATE

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 Le nostre brave massaie impastano un tanto di farina di grano duro con l’acqua fino a formare una pagnotta ricavandone una sfoglia molto sottile. Si taglia a listarelle di circa un centimetro, e tenendo fermo un capo si torce dall’altra. E’ cotta in acqua bollente come tutte le paste e condita col sugo dei pomodori. 

LA FRISEDDHA CULURATA

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La frisa tipica salentina è un tipo di pane di origine Greco Micenea. Si tratta di una pagnotta di grano duro cotta nel forno a legna,  divisa in due parti e fatta ricuocere sino a diventare croccante.  Nasce dall’esigenza di avere il pane tutto l’anno vista la sua lunga conservazione. Si consuma immergendola nell’acqua per ammorbidirla ( spunzare ) e condita strofinando dei pomodori, olio extra vergine d’oliva e sale.  Arricchita con insalata, mozzarella vegana spunzale, peperoncino amaro e un po’ di origano.

PAPARINA

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L’antica origine e la tradizionalità de la paparina, si evince dalla sua grande diffusione nel basso salento. In alcuni paesi ad esempio, si ritiene indispensabile cuocere le piante di rosolaccio insieme a quelle dell’acetosa in gergo “lapazzu”, come ricordato da un antico detto: ” paparina, paparina, senza lapazzu cc’ì nnè fazzu”, oppure aromatizzare la preparazione con delle aromatiche scorzette d’arancia. E’ comunque la pianta del papavero, prima che fiorisca, ed è servita anche “a minescia”, con aggiunta di aglio ed olive nere (celline).